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Un anno di Milanismo – Stagione 2021/2022

Un anno di Milanismo – Stagione 2021/2022

Il calendario mensile di Milanismo con tutti gli impegni dell’A.C. Milan, stampabile in formato A4 e in versione per Google Calendar.

28 Luglio 2024
  • Milan - Manchester City

    28 Luglio 2024  00:00 - 02:00
    Yankee Stadium, 1 E 161st St, Bronx, NY 10451, Stati Uniti

    DAZN

1 Agosto 2024
  • Milan - Real Madrid

    1 Agosto 2024  02:30 - 04:30
    Soldier Field, 1410 Special Olympics Dr, Chicago, IL 60605, Stati Uniti

    DAZN

7 Agosto 2024
  • Milan - Barcellona

    7 Agosto 2024  01:30 - 03:30
    M&T Bank Stadium, 1101 Russell St, Baltimore, MD 21230, Stati Uniti

    DAZN

13 Agosto 2024
  • Milan - Monza

    13 Agosto 2024  21:00 - 23:00
    Stadio San Siro, Piazzale Angelo Moratti, 20151 Milano MI, Italia

    CANALE 5

17 Agosto 2024
  • Milan - Torino

    17 Agosto 2024  20:45 - 22:45

    DAZN / Sky

24 Agosto 2024
  • Parma - Milan

    24 Agosto 2024  18:30 - 20:30

    DAZN

adidas milan

Adidas story

Notizia di ieri: dal 1 luglio 2018 Puma sarà il nuovo sponsor tecnico del Milan per le prossime cinque stagioni. Addio quindi ad Adidas, marchio legato ai colori rossoneri inizialmente nella stagione 1978/79, poi dal 90′ al 93′ e infine in maniera ininterrotta dalla stagione 1998/99 fino ad oggi.

Molte sono state le divise realizzate dal brand delle tre strisce in questi 24 anni: alcune originali, altre banali, alcune moderne, altre più classiche, alcune riuscite, amate ed apprezzate dai tifosi, altre decisamente meno. Riviviamo il meglio e il peggio prodotto dal connubio tra il Milan e la marca di abbigliamento sportivo tedesca in queste venti immagini di divise sociali – rossonere e non solo.

TOP 10 Adidas-Milan

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FLOP 10 Adidas-Milan

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Ignazio Abate alza la Supercoppa italiana nel cielo di Doha

Ignazio Abate, una storia rossonera

Milanista doc e senatore in un periodo difficile della nostra storia: la storia di Ignazio Abate

Ignazio Abate da bambino con la maglia del Milan

Né fuoriclasse né campione, ma un professionista esemplare e un milanista sino al midollo. Questo è Ignazio Abate, senatore dell’attuale gruppo rossonero, nonché il calciatore di più lunga militanza presente nella rosa di Montella, tra i pochissimi rimasti a incarnare un milanismo vero e autentico.

Nato il 12 novembre 1986 a Sant’Agata de’ Goti ma cresciuto nel Settore Giovanile del Milan, figlio dell’ex portiere Beniamino, Igna si affaccia subito alla prima squadra nel 2003, esordendo in Coppa Italia e in Champions League. Sono però spezzoni e niente di più: la squadra è una corazzata e non c’è posto per un 17enne promettente, sì, ma non fenomenale.

Inizia così una lunga gavetta in provincia, tra alti e bassi, sino alla stagione di Torino. Non è un’annata eccezionale, ma gli vale la chance al Milan. Stavolta, tornare per restare. È il 2009 e per il Diavolo è un anno di drastico ridimensionamento: via Ancelotti, Maldini e Kakà, dentro pochi acquisti non blasonati. Tra questi c’è anche Abate. Arrivato da ala, ma destinato a far carriera più “indietro”: Leonardo lo arretra per necessità da terzino destro e Igna convince, prendendosi definitivamente la scena la stagione successiva con Allegri.

L’affermazione da “2”, lo Scudetto, la Nazionale: Igna esplode definitivamente

Il 2010 segna il ritorno in bello stile del Milan. Gli arrivi last minute di Ibrahimovic e Robinho candidano i rossoneri come favoriti allo Scudetto. Che a maggio, puntualmente, arriva: il 18° Tricolore della storia, il primo (e finora unico) della carriera di Abate. Igna si ritaglia uno spazio enorme in quel successo: è titolare fisso nell’undici tipo da esterno destro della linea a quattro, uomo importante per la gamba e la corsa che riesce a offrire. Guadagnandosi anche la Nazionale, con cui disputa EURO 2012 e i Mondiali brasiliani. È poco incisivo nell’ultimo passaggio, ma riesce comunque a lasciare la propria firma: è nella memoria di tutti il suo assist per il 2-0 di Pato nel derby contro l’Inter, decisivo in quell’aprile per la volata Scudetto.

In agosto arriva anche la Supercoppa italia, poi il buio. Il Milan manca il bis Scudetto e nell’estate 2012 si ridimensiona fortemente con gli addii del nucleo storico di Ancelotti e le cessioni di Ibra e Thiago Silva. Ignazio Abate assume sempre più un ruolo di leadership all’interno dello spogliatoio, tra i “capitani” di un gruppo qualitativamente lontano da quelli degli anni precedenti. Se il primo anno, col terzo posto e la Champions, è sostanzialmente trionfale, le stagioni successive sono magrissime di soddisfazioni: il Diavolo manca l’Europa per tre anni consecutivi, cambia almeno un allenatore all’anno e non riesce a ritrovarsi.

Ignazio Abate e Riccardo Montolivo alzano la Supercoppa italiana vinta a Doha sulla Juventus

Per Abate, così come per la squadra, sono stagioni senza soddisfazioni. Resta uno dei leader della squadra (indossa in qualche circostanza anche la fascia di capitano) e ha spazi importanti in campo, seppur intervallati da qualche problema fisico, ma la penuria di risultati pesa. Prima, però, della stagione 2016/2017. Per il Milan arriva una rivincita a sorpresa, a Doha, nella finale di Supercoppa italiana contro la Juve: la bacheca torna a riempirsi dopo cinque anni e Igna alza per la prima volta un trofeo da capitano, data l’assenza in campo di Montolivo. È una liberazione dopo anni di sofferenza.

Oggi il numero 20 è ancora al Milan, sempre tra i “vecchi” del gruppo. L’arrivo dell’agognato closing e la rivoluzione di Fassone-Mirabelli porta undici acquisti e tanti (annunciati) leader tecnici e caratteriali, ma Ignazio Abate resta un punto di riferimento nonostante un glaucoma, superato alla grande dopo mesi di cure lontano dal campo, e una titolarità perduta. Una dimostrazione: la fascia indossata nell’ultimo Milan-Juventus di campionato. Montella rivede le gerarchie di inizio anno e torna a includere i senatori ante closing, prima poco considerati in favore dei nuovi arrivati. Non è Tassotti né Cafu (e forse nemmeno Andrea Conti, il suo erede designato), ma è un vero cuore rossonero. E chi lotta per la nostra maglia sarà stimato e ricordato per sempre.

Carlos Bacca e Ignazio Abate, con la fascia di capitano del Milan al braccio

Marco van Basten nel giorno del suo addio al calcio a San Siro

La leggenda di Marco van Basten

Il 31 ottobre 1964 nasceva Marco van Basten, fuoriclasse leggendario della storia del Milan

Elegante, raffinato, leggiadro. Ma al tempo stesso potente, freddo, intelligente. In tre parole: Marco van Basten. In una: fuoriclasse. Una leggenda vivente per le vittorie raccolte con il Milan e per i premi personali, avvolta da un alone quasi epico per il ritiro precoce dal calcio giocato, ma anche il prototipo di un centravanti fenomenale e moderno: un numero “9” a tutti gli effetti per l’implacabilità sotto porta e la capacità di segnare in ogni modo possibile, ma anche un “10” grazie a una tecnica fuori dal comune. Campionissimo per tutti, vero e proprio mito per i milanisti.

Marcel van Basten (per tutti, Marco) nasce il 31 ottobre 1964 a Utrecht, nei Paesi Bassi. Tira i primi calci al pallone in alcuni piccoli club della sua città, crescendo e formandosi già da bambino in un clima di effervescenza calcistica non da poco: gli anni del calcio totale dell’Ajax e dell’Olanda di Cruyff, dei Mondiali del ’74 dominati (ma persi) dagli Orange, della rivoluzione di Michels e di un modo totalmente nuovo di concepire il gioco del calcio.

Marco arriva all’Ajax tardi, a 17 anni, ma si impone in fretta: in sei anni segna una caterva di gol (vincendo quattro anni di fila la classifica cannonieri) e fa incetta di titoli nazionali con i Lancieri. È durante il periodo ad Amsterdam che emergono i primi problemi fisici (ed è qui che subisce il primo intervento alla caviglia), ma sono complessivamente anni straordinari che gli valgono la chiamata della vita: quella dell’ambizioso e visionario Milan di Silvio Berlusconi.

“Adriano, vai e colpisci”: van Basten-Berlusconi, un amore nato in videocassetta

La raffinatezza e la classe di van Basten non lasciano indifferente Berlusconi, fine esteta del pallone e folle amante dei calciatori di talento. Il Cavaliere ne ammira le gesta in videocassetta e se ne innamora perdutamente: il Cigno di Utrecht avrebbe dovuto giocare per il suo Milan, il cui fine è quello di vincere e dominare il gioco su ogni campo, in Italia, in Europa e nel mondo. “Vai e colpisci”, lo sprone al fido Adriano Galliani prima che parta alla volta di Amsterdam. Missione compiuta.

Adriano Galliani e Marco van Basten nel giorno del suo arrivo al Milan

È così che Marco van Basten arriva in rossonero. Un acquisto in sordina rispetto al connazionale Ruud Gullit, pagato quasi otto volte tanto e destinato di lì a pochi mesi a vincere il Pallone d’Oro. Il 1987 è un anno spartiacque per la storia del club: cambiano entrambi gli stranieri della rosa (e l’anno successivo, con Rijkaard, ci sarà spazio anche per il terzo “olandese”), arrivano importanti rinforzi italiani e in panchina siede Arrigo Sacchi. Romagnolo, semi-sconosciuto al grande pubblico, ha alle spalle una lunga gavetta nelle serie inferiori e un passato da rappresentante di scarpe dell’azienda di famiglia. Una scelta coraggiosa fatta da Berlusconi in persona, che si rivelerà la migliore possibile.

L’inizio del nuovo corso è negativo. Il Milan assorbe con fatica le idee rivoluzionarie del nuovo allenatore e stenta per risultati e gioco, scivolando lontano dai vertici della classifica. Van Basten parte bene, segnando all’esordio a Pisa, ma poi fa subito i conti con la caviglia che lo tormenterà per tutta la sua carriera da calciatore (e non solo): è costretto a operarsi e ad affrontare una degenza lunga parecchi mesi di riabilitazione e sofferenza. La squadra, invece, con le settimane ingrana e riprende quota, arrivano sino alle prime posizioni.

Marco torna in campo a sei mesi dall’intervento, in tempo per la volata finale verso lo Scudetto. I sacchiani griffano una rimonta pazzesca sul Napoli di Maradona e arrivano a giocarsi i titolo proprio in casa degli azzurri: per il Tricolore bisogna solo vincere. E così è: il Milan vince per 3-2 e annichilisce il San Paolo con una prestazione sensazionale. Decide proprio lui, Marco van Basten: il Cigno subentra nella ripresa e firma la terza rete rossonera, suggello al primo successo dell’epopea berlusconiana. Un trionfo che, sommato all’Europeo vinto con la Nazionale, lo spinge nel 1988 alla vittoria del Pallone d’Oro: sarà il primo di tre totali.

Marco van Basten, primo violino di un’orchestra armoniosa e perfetta

Il Milan di Sacchi vince e convince al primo colpo. Ma il meglio, per van Basten e per la squadra, deve ancora arrivare. È la stagione successiva, la 1988-1989, che fa entrare il gruppo direttamente nella leggenda. Il campionato non è fortunato come il precedente – lo Scudetto finisce sul petto dei cugini dell’Inter – ma la scelta societaria è precisa: il Diavolo avrebbe concentrato tutte le forze e le energie per la Coppa dei Campioni.

Il cammino non è privo di ostacoli (su tutti la doppia sfida con la Stella Rossa di Belgrado, portata a casa grazie a una nebbia salvifica), ma il Milan arriva sino in fondo al torneo. E stravince: prima schianta il Real in semifinale, dominando (pur pareggiando) a Madrid e devastandolo 5-0 a San Siro, poi in finale su un’inerme Steaua Bucarest, battuta per 4-0 al Camp Nou al cospetto di 80 mila tifosi milanisti.  “Dopo aver visto questo Milan, il calcio non potrà essere più lo stesso” titola il prestigioso quotidiano L’Equipe per celebrare una squadra leggendaria. Van Basten è il primo violino di un’orchestra sensazionale: ammutolisce il Bernabeu con una rete da cineteca, firma un gol nel pokerissimo del Meazza sulle Merengues, griffa la finale con una fantastica doppietta. E rivince ancora il Pallone d’Oro.

I sogni milanisti continuano a realizzarsi anche nel 1990. Il campionato è ancora amaro, con lo Scudetto che non torna rossonero e va al Napoli (a causa anche di qualche episodio controverso, in particolare nella famigerata “Fatal Verona”), ma in Europa è sempre la stessa storia. I ragazzi di Sacchi rivincono Coppa dei Campioni, Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale, bissando la tripletta europea come mai nessuno prima di loro. Van Basten segna meno della stagione precedente e non firma la vittoria finale (il match winner è il connazionale Rijkaard), ma resta la “ciliegina” sulla torta, primus inter pares nel fenomenale collettivo plasmato dal Profeta di Fusignano.

Sacchi-van Basten: stima e rispetto, non amore

Arrigo Sacchi e Marco van Basten durante un allenamento

Qualcosa, però, inizia a scricchiolare. Il Milan è nella leggenda, grazie ai titoli internazionali messi in bacheca e a un gioco intenso e rivoluzionario, figlio di un’organizzazione tattica ossessiva e asfissiante per gli avversari, incapaci di opporsi al ritmo infernale imposto dai sacchiani. Asfissiante anche, e forse soprattutto, per i giocatori stessi del Milan, spremuti mentalmente dal quel collettivismo spinto. Van Basten ne soffre più di tutti: il ragazzo è intelligente e conoscitore di calcio, ma mostra sempre più insofferenza verso il calcio martellante e soffocante di Sacchi. Ufficialmente non arrivano né aut aut né scontri diretti tra l’olandese (e più in generale la squadra) e il tecnico, ma i flop sul campo del 1991 e un clima non più idilliaco a Milanello segnano la fine del ciclo di Arrigo Sacchi.

“Sacchi e Capello sono due grandi allenatori, ma personalmente preferisco Capello. Lasciava spazio all’inventiva dei giocatori, ci dava la possibilità di improvvisare. Con Sacchi ogni mossa era studiata in modo ossessivo.” (Marco van Basten)

Addio Sacchi, ecco Fabio Capello. Ex calciatore di Serie A (anche al Milan), ma solo fugaci esperienze in panchina tra la Primavera rossonera e la Prima Squadra, guidata appena sei gare sul finire della stagione ’86-’87. È dirigente della Polisportiva creata da Berlusconi attorno al Milan ed è proprio lui, il presidente, a scegliere personalmente l’allenatore un’altra volta, stupendo tutti come fatto quattro anni prima con Sacchi. E, proprio come con Arrigo, azzeccando in pieno la decisione.

L’arrivo di Capello in panchina coincide con il ritorno di van Basten ad altissimi livelli. Meno imbrigliato tatticamente e più libero di testa, torna a medie gol altissime e rivince la classifica dei cannonieri di Serie A, portando il Milan in surplus alla conquista dello Scudetto. Il 1992 è la seconda vetta più alta della carriera di Marco dopo il biennio ’88-’89: riempie i tabellini italiani ed europei, marca uno storico poker in Champions League (il primo mai realizzato) in un Milan-Goteborg 4-0, si aggiudica il terzo Pallone d’Oro della carriera, eguagliando due mostri sacri come Cruyff e Platini. Nessun dubbio: è il calciatore più forte in circolazione.

Marco van Basten posa con il Pallone d'Oro vinto nel 1992: è il terzo

Marco van Basten, fuoriclasse di cristallo. Colpa di una caviglia maledetta

Ma la sorte non è amica di van Basten. E la caviglia, martoriata da acciacchi e operazioni, non gli dà pace. Arriva la decisione secca di andare sotto i ferri per la terza volta, contando di tornare a disposizione della squadra in vista del rush finale di stagione. Il recupero non procede secondo le attese e la caviglia non migliora, nonostante i tempi di recupero dilatati. L’olandese rientra in campo, ma è dolorante e lontano dal top della condizione. Stringe i denti e gioca la finale di Champions League, ma per il Milan e per il Cigno di Utrecht è una serata “no”: vince il Marsiglia per 1-0. Il 26 maggio 1993, ad appena 28 anni, Marco van Basten gioca l’ultima partita della sua folgorante carriera.

“No, non potrò davvero più tornare a giocare a calcio. Voglio solo tornare ad avere la camminata normale che hanno tutti e che avete anche tutti voi.” (Marco van Basten)

Marco prova a tornare in campo, ma senza riuscirci. La quarta operazione chirurgica alla caviglia e due anni di lavoro non portano l’esito sperato: lavora con i compagni nel pre campionato ’95-’96, ma le condizioni fisiche precarie non gli consentono nemmeno di camminare normalmente. E lo costringono ad appendere per sempre gli scarpini al chiodo. Il 18 agosto 1995 scorrono lacrime amare: van Basten saluta San Siro per sempre, consegnando alla storia del calcio una delle sue pagine più tristi. Uno dei fuoriclasse più puri di tutti i tempi smette senza essere arrivato ai trent’anni, per colpa di una caviglia malconcia e tanta mala sorte. “Il calcio perde il suo Leonardo da Vinci”, il commento laconico di Galliani. L’addio al calcio del Cigno di Utrecht è un giorno di mestizia per tutti gli amanti dello sport.

Marco van Basten e Zlatan Ibrahimovic

Tanti campioni sono stati accostati a Marco van Basten nel corso degli anni, nel tentativo di trovare un degno erede a uno dei migliori centravanti della storia del calcio. Su tutti Zlatan Ibrahimovic, il più vicino per caratteristiche fisiche e tecniche sin dai tempi dell’Ajax, mentre in tempi più recenti è stato Robert Lewandowski a fregiarsi dell’onorevole paragone con il Cigno di Utrecht. Ma nessuno ha saputo raggiungerne la grandezza e offuscarne anche solo in parte il mito, destinato a vivere in eterno.

Dopo il ritiro, van Basten si mette in gioco come allenatore. L’inizio nelle giovanili dell’Ajax, poi l’occasione di sedere sulla panchina della Nazionale olandese (che guida senza particolare fortuna a un Mondiale e a un Europeo), le esperienze con Heerenveen, AZ e Ajax, senza lasciare particolari tracce del proprio operato. Oggi è consulente FIFA nel nuovo corso di Gianni Infantino: un ruolo nelle retrovie, lontano dai riflettori, per una leggenda il cui nome rimarrà invece sempre ben impresso nella storia del Milan.

Riprendere San Siro

L’andamento di spettatori e abbonati del Milan dal 2000 ad oggi

Notizia di oggi, “Milano torna padrona del tifo”. I dati ufficiali parlano chiaro: Inter e Milan sono tornate in testa alla classifica degli abbonamenti. Il nuovo corso rossonero ha saputo (ri)scaldare i cuori dei tifosi, riportando il numero degli abbonamenti oltre quota trentamila. Medie da pre-crisi, a maggior ragione considerando la chiusura del terzo anello. Il rapporto tra botteghino e tifosi rossoneri è stato davvero turbolento nel nuovo millennio. In prima approssimazione, si può dire che gli eventi che hanno segnato profondamente gli ultimi 17 anni sono tre: l’estate di Calciopoli, la cessione di Kakà e la smobilitazione generale del 2012.

Andando più nello specifico e analizzando i numeri, si nota una tendenza ben precisa: i picchi negativi arrivano in corrispondenza delle grandi cessioni. Non si scappa: Shevchenko, Kakà e l’abbandono della “vecchia guardia” e del contemporaneo allontanamento di Ibrahimovic e Thiago Silva hanno provato l’affezione dei tifosi, quantomeno per quanto riguarda le presenze allo stadio. In queste tre circostanze, infatti, si registrano delle flessioni imponenti nel numero di abbonati: -35% nel 2006, -37% nel 2009 e -21% nel 2012. Se a questo si somma il calo generalizzato delle presenze negli stadi, l’effetto è devastante: nel giro di 10 anni, dal 2004 al 2014, il Milan ha perso il 42% degli spettatori, quasi 27mila persone in media a partita.

Di contro, come ampiamente pronosticabile i picchi positivi arrivano subito dopo i trionfi: la campagna d’Europa di inizio millennio ha fatto registrare sempre saldi positivi, con una media di circa 63mila spettatori nella stagione 2004/2005. Seguono a ruota il 2007/2008, anno successivo alla Champions di Atene, e il già citato 2011/2012 che fino a pochi giorni fa deteneva il record di abbonamenti degli anni ’10. Un dato curioso è quello relativo agli spettatori paganti: il record di incremento si sono registrati nel 2008, nel 2010 e nel 2016. Il motivo è semplice: mentre il primo è l’anno dell’arrivo di Ronaldinho (+35%), il secondo e il terzo simboleggiano un’immaginaria riconquista dello stadio da parte dei tifosi in due stagioni (il 2010 e il 2016, appunto) che si sono rivelate più positive del previsto. L’anno dello Scudetto in questo senso è emblematico: rispetto alla stagione precedente la media di spettatori paganti, ovvero dei presenti non provvisti di abbonamento, è aumentata addirittura del 64%.

Analizzando l’ultimo tratto, da quella maledetta estate del 2012 in poi si nota un lento ma inesorabile crollo degli abbonamenti. Coinciso, guarda caso, col mancato arrivo dei risultati sportivi. Il quinquennio appena concluso ha annichilito una tifoseria ormai in piena contestazione verso la società, facendo registrare proprio l’anno scorso il punto più basso della storia: 15990 tessere. Una miseria rispetto alle già poche 30mila del 2011, a dir poco imbarazzanti se confrontate alle oltre 50mila di inizio millennio o addirittura alle quasi 70mila degli anni d’oro.

Arriviamo infine ai giorni nostri. Come detto, la stagione passata ha registrato il record negativo di abbonamenti. Ma allo stesso tempo, complice forse un benefico effetto Closing, è anche la stagione in cui si sono registrate più presenze paganti: 24295. Una manciata di biglietti sotto il record assoluto del 2011, ma soprattutto una volta e mezza il numero degli abbonati annuali. E quella che sta per arrivare si presenta già come la stagione del riscatto. Trentunmila abbonamenti già staccati, una media di oltre 50mila presenze nei primi tre impegni casalinghi e un entusiasmo generale che non accenna a diminuire ma anzi, con l’arrivo dei primi risultati favorevoli, potrebbe esplodere definitivamente.

sansiro