Berlusconi: “Montella sbaglia, la squadra non va. Bonucci capitano? Era meglio Montolivo”
Il leader di Forza Italia (come Salvini) boccia l’allenatore rossonero. E poi dà un consiglio: “Bisogna prendere un top player”
“Sono a vostra disposizione per qualsiasi cosa”, aveva detto Silvio Berlusconi al momento del commiato. Ma da allora, dal passaggio di testimone, c’è stata come una cesura tra i nuovi proprietari del Milan e quello che Arrigo Sacchi definisce “l’artefice del rinascimento del calcio italiano”. Trent’anni di storia rossonera sembrano siano stati dimenticati in pochi mesi, insieme alla simbologia di un’era che non ha avuto eguali nel mondo del pallone. Il Cavaliere conosce le regole del mercato, anche la loro efferatezza, tuttavia non è riuscito a nascondere il proprio dolore quando in estate ha raccontato agli amici che “il mio club” aveva deciso di cancellare il trofeo Berlusconi, da lui dedicato al padre Luigi: immaginava venisse confermato, sperava di venir chiamato per la premiazione.
Invece niente. La scorsa settimana, ricevendo gli auguri di compleanno, gli è stata fatta notare la cura con cui i Suning coltivano mediaticamente i rapporti con Massimo Moratti, che resta il testimonial dell’Inter, una sorta di garante della linea di continuità per i tifosi nerazzurri. “Il Milan è un pezzo del mio cuore e della mia vita”, è la risposta data da Berlusconi: “Vorrei almeno che la squadra andasse bene. È questo il mio rammarico, il mio dispiacere”. C’è un motivo se vuole evitare che nulla trapeli del suo stato d’animo: la cortina di silenzio è insieme un gesto d’amore verso i suoi colori e un atto di correttezza verso i nuovi vertici.
Però nelle conversazioni riservate emerge la preoccupazione del Cavaliere per l’esposizione finanziaria della società che impone fin da questa stagione di fare risultato: “E la squadra non va…”. Ha dato ragione a Sacchi, quando il tecnico gli ha spiegato che “ci vuole pazienza” all’inizio di ogni progetto. Ma ci sono cose che Berlusconi non capisce: “Non ho capito la campagna acquisti. Non si era mai visto in una squadra il cambio di undici giocatori. Con tutti quei soldi, non si poteva acquistare un top player?”. Perché è vero che l’ex premier oggi è concentrato solo sulle sue aziende e sul suo partito, ma il Milan è un pensiero ricorrente, un fiume carsico che scompare per poi ricomparire. E in quei momenti torna presidente-allenatore. E non si ferma.
D’altronde nessuno si sente di fermare uno che ha imbottito di coppe la bacheca, che ha scommesso prima su Sacchi e poi su Capello tra lo scetticismo generale, che ha comprato i Van Basten, i Gullit, i Kakà, i Nesta e gli Shevchenko, che andava in tv a vantarsi di disegnare gli schemi ad Ancelotti, che si dannava se un allenatore non gli schierava il trequartista dietro le due punte. E se, parlando di politica, non manca di ricordare a ogni interlocutore i colpi di Stato che ha subìto, appena inizia a parlare del Milan fa lo stesso. Parte dai tempi del closing, quando la trattativa coi cinesi stava per fallire e lui — “con tutti i miei figli contro” — stava per ripensarci. Poi torna alla scelta dell’allenatore: “Volevo che sulla panchina restasse Brocchi. Ma ero in un letto d’ospedale, tra la vita e la morte. E mi dissero Montella”.
Se c’è una cosa, forse l’unica, che unisce il Cavaliere a Matteo Salvini è il giudizio sul tecnico. “Non mi piace come sta facendo giocare la squadra, non c’è un’idea”, ha detto l’altro giorno in pubblico il segretario della Lega, tifoso rossonero piegato da “tre sconfitte clamorose e imbarazzanti”. Non è dato sapere se ne abbia discusso con Berlusconi l’ultima volta che l’ha sentito, ma è certo che in privato l’ex presidente del Milan si è addentrato fin nei dettagli tattici della crisi: “Spiegatemi come possono finire spesso in panchina Suso e Bonaventura, che sono poi i due calciatori tecnicamente più dotati. E come si può fare sempre il solito gioco sulle fasce, per il solito cross in area. Mah… Per andare in rete andrebbero invece sfruttate le qualità dei due, cercando le linee di passaggio interne”.
Un tempo la vittima designata di queste intemerate era Adriano Galliani, che domenica scorsa si è trovato allo stadio — come Barbara Berlusconi — a vedere il Milan battuto dalla Roma. Ah, nostalgia canaglia. Ci fosse stato ancora lui, sarebbe entrato negli spogliatoi per risolvere il problema. Anche se aveva sperimentato quanto — a suo dire — fosse limitato il dialogo con Montella: “Gli davo consigli e lui mi rispondeva ‘Sì presidente, ma la formazione la faccio io’“. Una cosa che lo faceva imbestialire più delle battute di Salvini, quando solidarizzava con quei tifosi rossoneri, indignati davanti ad Arcore per la crisi di risultati della squadra.
Erano gli anni dell’austerity, degli acquisti a parametro zero, della giostra di vecchie glorie che avevano fatto grande il Milan in campo ma che in panchina non potevano far grande un Milan senza più campioni. Perché così era giunta alla fine l’epopea berlusconiana, quella degli scudetti che valevano un punto percentuale nei sondaggi di Forza Italia. Tale era ormai il malcontento che alle Amministrative di Milano migliaia di elettori rossoneri avevano scritto Kakà sulla scheda, in segno di protesta dopo la cessione dell’asso brasiliano. La vendita del Milan fu per Berlusconi “un modo per farlo ritornare grande”, e in virtù di quell’ultima promessa la Curva gli riconobbe i meriti per il passato e l’intuizione per il futuro.
Ora quella promessa il Cavaliere vorrebbe fosse mantenuta. Da tifoso spera che la squadra inverta la tendenza. Perché sta per arrivare il derby, e c’è una storia da difendere, sebbene nel cambio di gestione una antica tradizione sia andata smarrita. Cosa che Berlusconi ha preso male quanto i risultati e l’assenza di gioco: “È stata data la fascia da capitano a un calciatore che è stato per anni la bandiera della Juventus”. Nel solco dei Rivera, dei Baresi e dei Maldini, è una scelta che gli appare insopportabile e non certo per le indiscutibili qualità umane e calcistiche di Bonucci: “C’è Montolivo. La fascia andava affidata a lui”. Quanti errori, insomma. Non che lui non ne abbia commessi. “Quando gli consigliai Sarri per la panchina — ha raccontato di recente Sacchi — lui scelse Mihajlovic. E se ne pentì”. Forse l’era di Berlusconi al Milan avrebbe avuto un altro epilogo. O forse non avrebbe avuto epilogo, chissà.
Fonte: Corriere della Sera