Milan, da favola a scommessa. E il Diavolo deve già correre
Dopo 31 anni e 29 trofei finisce l’irripetibile era Berlusconi. Dal mercato al fairplay, tante scadenze per Yonghong&C. (da il Giornale)
Forse è bene scriverlo subito, forte e chiaro: il Milan, il «vecchio, caro, paralitico Milan», definizione romantica di Silvio Berlusconi pubblicata al culmine di uno dei tanti trionfi internazionali, non sarà più lo stesso da sabato 15 aprile dell’anno d’indecifrabile grazia 2017, mattinata santificata al derby impoverito di Milano.
Non sarà più lo stesso per una banale striscia di motivi: 1) perché non ci sarà più una famiglia dalle profonde radici milanese e lombarda alla sua guida; 2) perché segnerà l’avvento di un azionista proveniente dalla Cina scortato dalle incertezze sulle disponibilità economiche indispensabili a programmare il futuro; 3) perché dopo 31 anni scanditi da trionfi e successi impareggiabili (29 trofei la contabilità conclusiva al culmine della super-coppa d’Italia alzata nel cielo di Doha lo scorso dicembre) sarà rivoluzionata anche la cabina di regia del club. Uscirà dalla scena Galliani, il fedelissimo di Berlusconi, e sulla sua poltrona al terzo piano di via Aldo Rossi siederà Fassone, già conosciuto per le esperienze prima alla Juve (settore marketing), poi al Napoli quindi all’Inter chiamato da Moratti per procedere all’operazione dolorosa di taglio di dipendenti (quasi 250) e spese. Ariedo Braida, che di Galliani è stato la silenziosa ma preziosa ombra per 28 anni, sarà rimpiazzato da Mirabelli, conosciuto da Fassone all’Inter dove ha svolto il ruolo di capo degli osservatori.
Non è stato un passaggio indolore. Anzi, l’attraversamento del deserto, è durato due anni, addirittura dal 2 maggio del 2015 giorno del vertice con mister Bee poi scomparso. Ed è stato preceduto da un passaggio diventato l’annuncio della storica scelta di dismettere il club rossonero. Nell’estate del 2012 da Milanello partirono Thiago Silva e Ibra: fu l’inizio del viaggio che ha portato al trasferimento dalla famiglia Berlusconi all’uomo d’affari cinese. Che si ritroverà sulle spalle una montagna di debiti poiché l’operazione è stata realizzata grazie a una serie di finanziamenti, l’ultimo, decisivo, ottenuto dal fondo americano Elliott. Così dopo due clamorosi stop (preliminare firmato in Sardegna il 5 agosto, prima scadenza non onorata dicembre del 2016, seconda 3 marzo del 2017), si è giunti al tormentato closing.
Perciò gli interrogativi sul conto della nuova proprietà rossonera sono legati alla capacità di restituire il prestito ottenuto attraverso le due strade tracciate da Yonghong Li: e cioè l’arrivo di generosi sponsor dalla Cina e la possibilità di quotare alle borse asiatiche il club rossonero. Che nel frattempo, per acquisire nuovo slancio e visibilità, dovrà meritarsi sul campo il ritorno in Champions league assente da troppi anni a Milanello. Non solo. Ma prima di procedere ad alcuni indispensabili passaggi di mercato interno (il rinnovo dei contratti di Donnarumma, De Sciglio e Suso), bisognerà presentarsi a Nyon, domicilio dell’Uefa per rinegoziare le modalità del fair-play finanziario che erano state concordate dalla precedente gestione (il viaggio in Svizzera di Barbara Berlusconi). Come si può capire al volo, il prossimo Milan targato cinese, non avrà molto tempo a disposizione per riprendere la scalata. A Silvio Berlusconi furono sufficienti, nei lontani anni Ottanta, un paio d’anni per allestire staff tecnico e squadra che avrebbe vinto lo scudetto contro il Napoli di Maradona e da lì dato la scalata a coppa Campioni e coppa Intercontinentale. Il Milan di Fassone quanto tempo impiegherà per riportare il club in Champions league? Ha una sola fortuna: un allenatore bravo, un gruppo composto da molti e promettenti italiani, e qualche straniero costato due lire (Suso pagato 300mila euro). Su questi pilastri non sarà impossibile costruire un grattacielo degno del logo milanista.
Fonte: di Franco Ordine per “il Giornale“