Suning – Milanismo

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L'ex presidente del Milan Yonghong Li

Inter-Milan, derby delle ombre cinesi: i club appesi alle decisioni di Pechino

Decisive le risoluzioni che il Congresso del Partito comunista prenderà in materia finanziaria: sgradito il concentramento di investimenti orientati tutti su Milano

È la settimana del derby Inter-Milan numero due dell’era a proprietà cinese; e anche la vigilia del 19° Congresso del Partito comunista a Pechino. Tra i due eventi potrebbe esserci un collegamento. Perché il calcio è anche politica e industria e la Cina seconda economia del mondo lo ha capito benissimo.

PARTITA PER INSONNI Andiamo con ordine. Anzitutto non c’è da immaginare che domenica ci siano masse di tifosi di qui incollati alla tv per vedere la partita: le 20.45 a San Siro saranno le 2.45 del mattino di lunedì e solo gli insonni resteranno alzati. Ci si aspetta invece una parola di conforto per i tifosi dai documenti del Congresso. Fonti ben informate hanno appena detto all’agenzia Reuters che le autorità potrebbero decidere di ammorbidire la linea nei confronti degli investimenti all’estero in settori considerati non remunerativi, come il football.

FINE DEL CREDITO FACILE In estate Pechino ha fischiato la fine del credito facile per le acquisizioni “non strategiche” di aziende straniere (“spese irrazionali” nella dichiarazione di scomunica politica). Alle banche e ai finanzieri rossi è stato ordinato di sospendere i prestiti ai “rinoceronti grigi”. L’espressione si riferiva ad alcuni grandi gruppi industriali troppo indebitati nell’espansione internazionale (in particolare Wanda, Anbang, Hna e Fosun che si occupano di tutto, dall’immobiliare all’intrattenimento, dalle assicurazioni alle compagnie aeree). Ma anche il pallone può essere una bolla di debito ed è finito subito in fuorigioco. La televisione statale ha dedicato un programma al problema, nel quale ha citato anche il caso di Suning, la proprietà dell’Inter. “Perché spendere 310 milioni di dollari per un club che perde soldi?”, ha chiesto un analista. Alla Borsa di Shenzhen il titolo Suning perse 6 punti, poi recuperati quando il grande gruppo che vende elettrodomestici dimostrò di avere i conti in ordine. Rossoneri Sport Investment di Yonghong Li, neoproprietario del Milan, qui in Cina è restato fuori dalle notizie in quell’occasione, ma sono stranote le sue difficoltà nel trovare i capitali per chiudere l’operazione con Berlusconi. Tanto che l’ultima quota è arrivata quasi a tempo scaduto a marzo dal fondo americano di private equity Elliott: 180 milioni di euro per l’acquisto, più 123 da spendere per i giocatori. Ma il prestito scadrà a ottobre 2018.

LI CERCA INVESTITORI Yonghong Li, sempre secondo la Reuters, ora è partito alla ricerca di investitori con i quali condividere il peso dell’operazione; spera che si facciano avanti quei gruppi cinesi che a suo tempo si sarebbero ritirati. Occhi puntati sul Congresso che si apre il 18 ottobre, dunque.
Senza farsi troppe illusioni però. Perché, come ha spiegato al Corriere della Sera un’autorevole fonte bancaria cinese, ai politici di Pechino non è piaciuto che per giustificare il ritardo nel closing il signor Li abbia “messo in piazza i controlli sui capitali, dimostrando scarsa sensibilità”. In più: “A Pechino non piace neanche che le due squadre di Milano siano cinesi, troppa esposizione su una sola piazza così famosa per il calcio”. A questo punto c’è da domandarsi chi, tra Inter e Milan, sia piazzato meglio (o meno peggio) sul fronte politico cinese.

INTER DAVANTI AL MILAN Come nella classifica attuale del campionato, sembrano in vantaggio i nerazzurri. Zhang Jindong, proprietario del Suning Commerce Group Co. Ltd è decisamente più solido, con un fatturato vicino ai 50 miliardi di dollari, anche se l’indebitamento è elevato, circa 2 mila punti di vendita e 13 mila dipendenti. Il patron Zhang ha un piano di internazionalizzazione del suo business, vuole far conoscere il marchio all’estero e se l’Inter centrerà la qualificazione in Champions l’anno prossimo vedremo la scritta Suning in eurovisione. Nel progetto calcistico dell’azienda di Nanchino c’è la costruzione di un polo dell’intrattenimento sportivo: Zhang vuole essere proprietario di squadre di calcio, diritti per la trasmissione di partite via web, agenzie che controllano i giocatori, centri di addestramento e allenamento e vuole fare anche e-commerce di prodotti calcistici. Il Jiangsu Suning, dopo essere arrivato secondo l’anno scorso in Super League, ora si sta salvando grazie a Fabio Capello (che si è portato anche Cristian Brocchi come assistente).

CONGRESSO DECISIVO Mister Spalletti è rimasto impressionato dal quartier generale Suning a Nanchino. Un po’ meno dalla campagna acquisti, forse. Si può sperare ora nel Congresso del Partito per uno sblocco degli investimenti? Il signor Zhang Jindong ha buoni contatti: la stampa cinese ha elogiato Suning per la sua sezione di 8 mila dipendenti membri del Partito che, guidati dal presidente, si riuniscono per sedute di studio e salutano con il pugno chiuso in occasione delle grandi ricorrenze comuniste.

Fonte: Corriere della Sera

L'ex presidente del Milan, Silvio Berlusconi

Berlusconi: “Montella sbaglia, la squadra non va. Bonucci capitano? Era meglio Montolivo”

Il leader di Forza Italia (come Salvini) boccia l’allenatore rossonero. E poi dà un consiglio: “Bisogna prendere un top player”

“Sono a vostra disposizione per qualsiasi cosa”, aveva detto Silvio Berlusconi al momento del commiato. Ma da allora, dal passaggio di testimone, c’è stata come una cesura tra i nuovi proprietari del Milan e quello che Arrigo Sacchi definisce “l’artefice del rinascimento del calcio italiano”. Trent’anni di storia rossonera sembrano siano stati dimenticati in pochi mesi, insieme alla simbologia di un’era che non ha avuto eguali nel mondo del pallone. Il Cavaliere conosce le regole del mercato, anche la loro efferatezza, tuttavia non è riuscito a nascondere il proprio dolore quando in estate ha raccontato agli amici che “il mio club” aveva deciso di cancellare il trofeo Berlusconi, da lui dedicato al padre Luigi: immaginava venisse confermato, sperava di venir chiamato per la premiazione.

Invece niente. La scorsa settimana, ricevendo gli auguri di compleanno, gli è stata fatta notare la cura con cui i Suning coltivano mediaticamente i rapporti con Massimo Moratti, che resta il testimonial dell’Inter, una sorta di garante della linea di continuità per i tifosi nerazzurri. “Il Milan è un pezzo del mio cuore e della mia vita”, è la risposta data da Berlusconi: “Vorrei almeno che la squadra andasse bene. È questo il mio rammarico, il mio dispiacere”. C’è un motivo se vuole evitare che nulla trapeli del suo stato d’animo: la cortina di silenzio è insieme un gesto d’amore verso i suoi colori e un atto di correttezza verso i nuovi vertici.

Però nelle conversazioni riservate emerge la preoccupazione del Cavaliere per l’esposizione finanziaria della società che impone fin da questa stagione di fare risultato: “E la squadra non va…”. Ha dato ragione a Sacchi, quando il tecnico gli ha spiegato che “ci vuole pazienza” all’inizio di ogni progetto. Ma ci sono cose che Berlusconi non capisce: “Non ho capito la campagna acquisti. Non si era mai visto in una squadra il cambio di undici giocatori. Con tutti quei soldi, non si poteva acquistare un top player?”. Perché è vero che l’ex premier oggi è concentrato solo sulle sue aziende e sul suo partito, ma il Milan è un pensiero ricorrente, un fiume carsico che scompare per poi ricomparire. E in quei momenti torna presidente-allenatore. E non si ferma.

D’altronde nessuno si sente di fermare uno che ha imbottito di coppe la bacheca, che ha scommesso prima su Sacchi e poi su Capello tra lo scetticismo generale, che ha comprato i Van Basten, i Gullit, i Kakà, i Nesta e gli Shevchenko, che andava in tv a vantarsi di disegnare gli schemi ad Ancelotti, che si dannava se un allenatore non gli schierava il trequartista dietro le due punte. E se, parlando di politica, non manca di ricordare a ogni interlocutore i colpi di Stato che ha subìto, appena inizia a parlare del Milan fa lo stesso. Parte dai tempi del closing, quando la trattativa coi cinesi stava per fallire e lui — “con tutti i miei figli contro” — stava per ripensarci. Poi torna alla scelta dell’allenatore: “Volevo che sulla panchina restasse Brocchi. Ma ero in un letto d’ospedale, tra la vita e la morte. E mi dissero Montella”.

Se c’è una cosa, forse l’unica, che unisce il Cavaliere a Matteo Salvini è il giudizio sul tecnico. “Non mi piace come sta facendo giocare la squadra, non c’è un’idea”, ha detto l’altro giorno in pubblico il segretario della Lega, tifoso rossonero piegato da “tre sconfitte clamorose e imbarazzanti”. Non è dato sapere se ne abbia discusso con Berlusconi l’ultima volta che l’ha sentito, ma è certo che in privato l’ex presidente del Milan si è addentrato fin nei dettagli tattici della crisi: “Spiegatemi come possono finire spesso in panchina Suso e Bonaventura, che sono poi i due calciatori tecnicamente più dotati. E come si può fare sempre il solito gioco sulle fasce, per il solito cross in area. Mah… Per andare in rete andrebbero invece sfruttate le qualità dei due, cercando le linee di passaggio interne”.

Un tempo la vittima designata di queste intemerate era Adriano Galliani, che domenica scorsa si è trovato allo stadio — come Barbara Berlusconi — a vedere il Milan battuto dalla Roma. Ah, nostalgia canaglia. Ci fosse stato ancora lui, sarebbe entrato negli spogliatoi per risolvere il problema. Anche se aveva sperimentato quanto — a suo dire — fosse limitato il dialogo con Montella: “Gli davo consigli e lui mi rispondeva ‘Sì presidente, ma la formazione la faccio io’“. Una cosa che lo faceva imbestialire più delle battute di Salvini, quando solidarizzava con quei tifosi rossoneri, indignati davanti ad Arcore per la crisi di risultati della squadra.

Erano gli anni dell’austerity, degli acquisti a parametro zero, della giostra di vecchie glorie che avevano fatto grande il Milan in campo ma che in panchina non potevano far grande un Milan senza più campioni. Perché così era giunta alla fine l’epopea berlusconiana, quella degli scudetti che valevano un punto percentuale nei sondaggi di Forza Italia. Tale era ormai il malcontento che alle Amministrative di Milano migliaia di elettori rossoneri avevano scritto Kakà sulla scheda, in segno di protesta dopo la cessione dell’asso brasiliano. La vendita del Milan fu per Berlusconi “un modo per farlo ritornare grande”, e in virtù di quell’ultima promessa la Curva gli riconobbe i meriti per il passato e l’intuizione per il futuro.

Ora quella promessa il Cavaliere vorrebbe fosse mantenuta. Da tifoso spera che la squadra inverta la tendenza. Perché sta per arrivare il derby, e c’è una storia da difendere, sebbene nel cambio di gestione una antica tradizione sia andata smarrita. Cosa che Berlusconi ha preso male quanto i risultati e l’assenza di gioco: “È stata data la fascia da capitano a un calciatore che è stato per anni la bandiera della Juventus”. Nel solco dei Rivera, dei Baresi e dei Maldini, è una scelta che gli appare insopportabile e non certo per le indiscutibili qualità umane e calcistiche di Bonucci: “C’è Montolivo. La fascia andava affidata a lui”. Quanti errori, insomma. Non che lui non ne abbia commessi. “Quando gli consigliai Sarri per la panchina — ha raccontato di recente Sacchi — lui scelse Mihajlovic. E se ne pentì”. Forse l’era di Berlusconi al Milan avrebbe avuto un altro epilogo. O forse non avrebbe avuto epilogo, chissà.

Fonte: Corriere della Sera