Antonio Maria Abate – Milanismo

Autore: Antonio Maria Abate

La plusvalenza che non ti uccide ti rende più forte

Lo si dice di solito rispetto a qualcosa che per X motivi si ha paura a fare ma che al tempo stesso va superata, la paura intendo. Metto le mani avanti, così nessuno potrà dire di non aver capito: la sconfitta di ieri non è colpa di Donnarumma. Il gol d’Icardi è colpa di Gigio, non la sconfitta; che poi le due cose siano consequenziali, credetemi, rileva poco. O nulla addirittura.

La partita l’avete vista tutti, perciò non vedo a che serva “aiutarvi” a capire ciò che avete visto e con ogni probabilità capito di questo amaro Derby. E mi spiace prendere spunto dai social, ma oggi da dove dovrei? Nella mia cerchia non ci sono così tanti milanisti, quasi nessuno, perciò gli umori io da lì li prendo… Twitter soprattutto, ma un po’ anche Facebook, Instagram. E lì mi pare che regni la confusione (sul Milan come su tanto altro, mi direte, ma fermiamoci al Milan), persone che non riescono ad andare oltre l’amarezza, spesso l’incazzatura, e trasformano la frustrazione in argomento. Non lo è, mi spiace. Ogni analisi pretende calma, silenzio, dunque ragionamento.

Se vi rode il sedere e basta, beh, smettete di leggere: non ho ragioni da opporre a chi, non a torto, proprio non vuole arrendersi a quanto accaduto ieri dopo il ’90. Con la pancia non si viene a patti, e non mi è estraneo quel fuoco che brucia dentro dopo aver visto una delle partite più importanti dell’anno capovolte al fotofinish, in quel modo peraltro. Se invece vogliamo provare a discuterne, fosse anche solo per tentare di esorcizzare, accomodatevi. Mi fa piacere.

Vedo di andare dritto al punto: chi se la prende con Gattuso ha saltato troppi passaggi. L’atteggiamento che Rino sta trasmettendo a questa squadra, inutile negarlo, è tremendo: chi sposa la strategia del «prima non prenderle» resta vedovo più prima che poi. Questa remissività, quasi questo negarsi, fanno male, anzitutto da spettatori; leggo dovunque che è bello guardare ‘questo’ Milan giocare, ma da spettatore appunto, non da tifoso, vado ripetendo(mi) da settimane «ma che davvero vi diverte?». Per quanto mi riguarda, non vedo così tante differenze con quello di Montella, che mi contrariava alquanto, perché improduttivo, macchinoso, se non in quei rari momenti in cui, per l’appunto, produce (una serie di passaggi più elaborata che ti porta al tiro magari, senza per forza il gol).

Invece no, non credo che questo Milan produca del «buon calcio», e lo dico da spettatore, uno che da una partita vuole essere intrattenuto, trarre piacere non tanto dal risultato ma da quei seppur sporadici (anche se, si spera, più frequenti possibili) episodi di godimento estetico che giustificano lo stare a guardare ventidue ragazzi che spostano un pallone. Da tifoso mi spossa proprio, perché alla noia si aggiunge il fastidio, la consapevolezza sempre meno sormontabile che l’asticella oltre a quell’altezza non possa essere alzata.

Ed è qui che si spiega il feedback di ieri; qui che l’1-0 acciuffato per un pelo assume una consistenza che ci consente di guardare a tutto con altri occhi. Perché il problema non è il Milan che ha perso, ma quello arrendevole, oltremodo cauto, pavido che stava rosicchiando un punto che forse nemmeno meritava. La sconfitta brucia perché matura a seguito di un errore brutto di un ragazzo che di errori ne sta inanellando troppi e sempre meno tollerabili, giovane o meno che sia. Ma quel Milan lì, quello che arrivato palla al piede a centrocampo nel secondo tempo non sapeva che diavolo fare, beh, quello restava anche se, per assurdo, il colpaccio l’avessimo fatto noi.

Quel Milan non si può vedere, figurarsi seguire. So che a questo punto chi ha avuto la pazienza di arrivare sin qui esclamerà: «visto che stai dando ragione a noi! Rino fuori!». No, non sto dando ragione a nessuno. Non si tratta di stabilire chi è in torto, perché la situazione dinanzi alla quale ci troviamo è espressione di una serie di concause, come tutto nella vita. Se vogliamo scagliarci con colui che in questo momento è più esposto, giustamente, canalizzando la nostra delusione, la nostra ira persino, verso di lui, facciamolo pure. L’unica è… a che pro?

L’ho spiegato in precedenza, temo dovrò ripetermi. Gattuso è qui perché chi realmente “volevamo” non era al momento alla nostra portata. Se chiedete a me, autore di questo scritto, anche a costo di essere impopolare, dico che una chance Rino se la meritava, che le sue carte lo scorso anno se l’è giocate dignitosamente; ma questo ha senso proprio alla luce del fatto che Antonio Conte (facciamo nomi e cognomi) non fosse raggiungibile ad agosto. Se devo puntare su un ripiego, mi tengo l’allenatore che ho, con in più, non nascondiamocelo, la scusa di poterlo usare a mo’ di parafulmine rispetto al vero problema. Quale?

La rosa. Signori miei, questa rosa, che vanta persino alcune individualità notevoli, e che sulla carta non è da buttare, semplicemente è frutto di tre diverse gestioni, ciascuna con le proprie idee (o non-idee) a priori diverse. Si tratta di una tara strutturale che fa tutta la differenza del mondo, e che nemmeno un Conte può contribuire ad aggiustare. Per questo, immagino, l’ex-tecnico del Chelsea avrà a ragion veduta preteso delle garanzie, ossia avrà fatto dei nomi sui quali sta o cade la sua candidatura. E sapete che c’è, per l’ennesima volta? Quei nomi per ora non ce li possiamo permettere, oooohhh. Elliott non si discute, ma anche fosse per sola facciata, non puoi andare a prelevare tre/quattro Top-mondo come se il triennio 2014-2017 non sia mai esistito e questa nuova proprietà non dovesse risponderne.

Il risultato è una rosa male assortita, fatta di giocatori che non sono né potevano essere scelte dei sin troppi allenatori che si sono avvicendati in questi anni, come fossimo una provinciale qualsiasi. Nessuno è esente da responsabilità in questo senso: chi ha devastato un progetto tecnico che ci aveva portato a stare in alto per quasi dieci anni? Chi, l’anno scorso, su quelle macerie, non ha saputo ricostruire, se possibile, anzi, acuendo certi difetti poiché dava per scontato di avere quel tempo che non è riuscito a fabbricarsi? Insomma, perché Abate? E perché Chala? Perché Suso? Ma anche perché Bakayoko, Castillejo, Laxalt?

È evidente che Leonardo e Maldini non possono condividere tale responsabilità nella medesima misura delle due gestioni precedenti, ci mancherebbe, tanto più che i tre sopracitati andranno valutati a giugno 2019 (se giocheranno). Il punto è che qui non si fa un discorso di colpe, ché lascio volentieri ad altri: io, come tutti immagino, rivorrei il Milan, quello che il mercoledì mi costringe a fare i salti mortali per essere allo stadio o vederlo in TV, non il giovedì; quello che fino ad aprile inoltrato di ogni santo anno sta ancora lottando per qualcosa. Ma non ho più otto anni, e so che l’erba voglio cresce nel giardino del Re.

Siamo appena entrati nel XXI secolo, laddove bisognava entrarci almeno tre anni fa. Siamo in ritardo, con un progetto da ricostruire da zero, piegati da anni vissuti al margine non del calcio europeo bensì del già povero di per sé calcio nazionale. È tutto questo che Icardi ieri, in un istante, quanto gli è bastato per quella spizzata maledetta, ha estemporaneamente rievocato, innescandolo con una violenza inaudita. Quel gol, lo vedevo nei volti di chi mi stava accanto, sopra, sotto, di lato, lì in Curva Sud, è come se avesse acceso uno schermo negli occhi di tutti e ciascuno, che a mo’ di Cura Ludovico si sono dovuti sorbire le immagini di questi ultimi sette anni nel giro di pochi secondi, velocizzati ma non abbastanza da non capire che cazzo stessero guardando. E allora scatta qualcosa, forse la paura, la sensazione che davvero siamo lontani da ciò che ci eravamo prefissati, che oramai, diciamolo, quel posto non ci spetta più: ce lo si deve (ri)guadagnare.

È il tempo delle scelte difficilissime, a fronte delle quali anche i migliori sono preparati fino a un certo punto. Per dirne una, cosa fare di un ragazzo che non ha nemmeno vent’anni, baciato da un talento precoce e abbagliante, che al momento pare al contempo il suo più grande fardello? Per fortuna non sono io a doverla prendere questa decisione, ma non si può continuare a minimizzare i difetti di un portiere che tra i pali è un prodigio, mentre a un metro dalla linea di porta vale quanto un ragazzo qualsiasi, se non peggio. Ancor meno sostenibile il perdere certi punti se si pensa che in panca c’è un collega il quale avrà pure l’età che ha, ma è uno che fino a un’ora fa non sfigurava forse nel miglior Napoli di sempre, e che in ogni caso calcava ben altri palcoscenici rispetto ai nostri.

La domanda allora è: siamo in regime di ristrettezze, con una sentenza che grava sulla nostra testa, quantunque ancora non si sappia che forma avrà… vogliamo spenderla ‘sta plusvalenza? Lo so, Gigio è un patrimonio, e nessuna scelta è esente da controindicazioni. Nella fattispecie sin qui evocata: e se altrove diventa quel fuoriclasse che teoricamente già è? Ti mangi le mani e maledici il giorno che l’hai venduto, che domande! Ma adesso, a queste condizioni, col rischio addirittura di mettere a posto i conti, è così sconsiderato fare un sacrificio di questo tipo? Con un ragazzo che sì, ha tutto il talento che vi pare, ma (e lo dice in primis chi ne sa) non sta crescendo, anzi, limitatamente ad alcuni aspetti subisce proprio un’involuzione. Possibile che al quarto anno di Serie A non riesca ancora a piazzarsi decentemente, che non «senta» la porta? Non lo so, non mi chiamo Villiam Vecchi, ma a me questi mi sembrano problemi, ed anche piuttosto gravi.

Poi, chiaro che questi siamo e con questi giochiamo, ma a fronte di un progetto che porti dei sostituti degni (leggasi “più forti”), potremmo prendere in considerazione pure l’idea di parlare con Bonavenuta e Suso, spiegando loro che non possono essere più i nostri punti di riferimento, perciò o forzano le rispettive nature ed imparano a fare quello che pare non riescono a fare nemmeno sotto tortura (nel caso di Jack giocare a due, massimo tre tocchi; in quello di Jesus il discorso è più complesso, dato che gli si dovrebbe chiedere d’imparare a scrostarsi dalla sua mattonella, ergo cambiare proprio il modo di giocare) oppure una stretta di mano e ciascuno per la propria strada?

Solo nel caso del classe ’99, tuttavia, ci troveremmo davanti ad una plusvalenza eccezionale, anche qualora lo vendessimo ad un prezzo contenuto (cosa che non succederebbe, perché, se Elliott vende Donnarumma, lo vende al prezzo migliore possibile). Con il non felice trascorso di questo ragazzo, la testa e il carattere che sembrano non rispondere come dovrebbero, separarsi non sarebbe forse la soluzione migliore, per noi come per lui? Potremmo rischiare, cosa che di questi tempi non ci piace granché, e testare in prima persona fino a che punto sia vero che ciò che non ti uccide ti rende più forte.

Dopo Cagliari con chi prendersela?

Cagliari-Milan 1-1. Ma questo lo sapete già. Inevitabili, suppongo, le reazioni, con quella cantilena che fa «Antonio Conte dove sta?!» e trullallì trullallà. Ora che scricchiola pure la sediolina di Spalletti poi… apriti cielo! Sia mai che i cousins ci rubino l’allenatore del futuro, quello che riporterà il Milan ai fasti di un tempo. Ecco, cominciamo da lì: quei fasti non torneranno. Mai più. Già m’immagino il lettore, confortato nel suo pessimismo, oppure inveire contro quello del sottoscritto, che vede solo nero. In entrambi i casi, sbagliato.

I fasti di un tempo, per definizione, appartengono a un’epoca che non ci riguarda più. Questo è il nostro tempo, il post-Berlusconi/Galliani, quando Savicevic lo ricordano a malapena gli account social del Milan, così come i vari Pippo, Kakà, Maldini, Baresi e compagnia cantando. Il Milan che si deve costruire è quello del futuro, ed è un lavoro che si declina al presente. È bello ricordare quanto siamo stati grandi, per certi versi è pure utile… finché però non lo è più. A Roma Antica ricordare quanto fu grande, grandissima anzi, non servì a nulla allorché i Visigoti avevano già smobilitato mezzo mondo.

Ecco, i barbari. In regime di barbarie, lo dice la Storia, emerge, su tutto, un vuoto di potere; confusione e incertezza regnano sovrane, mentre non si capisce chi e perché debba prendere decisioni che valgono per tutti. Ci abbiamo sperato l’anno scorso, abbiamo sperato che l’oramai necessario avvicendamento di gestione avesse potuto apportare quel cambio di paradigma indispensabile, tanto che inizialmente siamo passati sopra a tutto, tra campagna acquisti dispendiosa e profili dirigenziali discutibili (ma non ce ne rendevamo conto, che erano discutibili intendo). Nei mesi abbiamo dovuto prendere atto che forse quelle erano solo le persone sbagliate al momento giusto, senonché anche loro sono oramai passate.

Ora abbiamo alle redini profili di tutt’altro tipo, forse spessore, tra uno navigato come Leonardo ed un neofita, almeno in quei panni, come Maldini. C’è da ben sperare, certo, ma non capisco chi ha abbassato la guardia, chi pretende che addirittura l’abbassino pure gli altri, come se a questi due nomi dovessimo tutto, ogni cosa. Maldini non si discute quanto ai suoi trascorsi, poco mi cala di cosa dica una parte più o meno nutrita della tifoseria. Senonché Paolo, il nostro ex-capitano, che la maggior parte di noi ha amato, al quale è sinceramente affezionato, oggi fa tutt’altro ed in base a quello dev’essere “giudicato”. I processi preventivi, quale che sia il responso, non hanno motivo d’essere. Perciò sì, siamo contenti, felici che Maldini abbia preso il posto che probabilmente gli spettava già da qualche anno, però calma e buon senso.

Perché parlo di proprietà e dirigenti anziché dei primi venti minuti di Cagliari? Ma perché, signori, date addosso a Gattuso quanto volete, il problema non sta lì anzitutto. Non si rimedia ai danni enormi di dieci anni di pessima gestione in tre/quattro, figurarsi in due mesi. Né questi quasi dodici mesi dell’era Gattuso bastano a riconvertire uno status quo insostenibile, dove a venire meno non è stato semplicemente un modulo, un’idea di gioco o che so io, bensì una mentalità, uno spirito, e quello non lo si recupera semplicemente cambiando il sedere di chi siede in panca.

Rino ha indubbiamente le sue “colpe”, responsabilità che gli toccano, dovute a X motivi (inesperienza? fissazioni? paura? Scegliete voi). Ma è del tutto fuori luogo limitarsi alle sue d’inottemperanze, quando in quel rettangolo verde undici e più ragazzi se la giocano. E allora cominciamo (oppure continuiamo, a seconda) a tirare le orecchie a Suso, buon giocatore che in più di un’occasione ci avrà finanche tirato fuori da situazioni imbarazzanti, solo che è sempre più evidente che la sua presenza appare ingombrante, lui che si muove per i conti suoi al di là delle logiche di gioco della squadra, chiamato (da chi?) a togliere le castagne dal fuoco ad ogni pallone che tocca.

Diciamolo che Bonaventura è un altro buon giocatore, uno che nel Milan degli ultimi anni spiccava perché attorno a lui era la desolazione, ma che i fuoriclasse sono altri, per cui non capisco la sua ostinazione nel voler toccare la palla otto volte di troppo, quando la media di riuscita delle sue giocate oggettivamente non giustifica i rischi che si prende e ci fa prendere. Scagliamoci contro Donnarumma, che in Nazionale sarà anche un campioncino, mentre da noi incassa figure francamente barbine su tiri tutt’altro che irresistibili come quello di Zielinski a Napoli (il momentaneo pareggio) e Joao Pedro ieri. Ce ne sarebbe anche per altri, ma cominciamo da questi, coccolati e vezzeggiati da troppi, e sempre meno ragionevolmente.

Non si tratta di dare colpe, di trovare capri espiatori, perché se il Milan di oggi, 17 settembre dell’anno Domini 2018, è questo, di certo non ci si può limitare all’operato di uno o più singoli. Il fenomeno è decisamente più complesso ma la ritrosia a dire le cose come stanno non è ammissibile; non lo è tanto più in quanto necessaria la presa di coscienza circa determinate fattispecie. O vi pare che Maldini e Leonardo che si chiudono negli spogliatoi alla fine del primo tempo non significhi nulla?

Col lamentarci di Gattuso, che di per sé potrebbe pure starci, stiamo continuando a fare il gioco di chi ci vuole male. Non è lui, mi spiace, il motivo per cui questo Milan in campo è così privo di carattere e personalità; o meglio, non solo lui. Va detto, è evidente, che come la scorsa stagione se ne tessero le lodi per via del lavoro al cervello e la volontà di questa squadra, adesso s’ha da essere altrettanto onesti nell’ammettere che ci sia del suo in questo Milan palleggiatore ma senza mordente. Le condizioni però sono diverse: con un altro allenatore fino a novembre 2017, questi giocatori, che in larga parte sono quelli di oggi, dimostrarono di non avere nerbo, il che, unito all’atteggiamento di Montella, dentro e fuori dal campo, fu per noi fatale. Oggi queste stesse persone sono state sottoposte ad un lavaggio di cervello (per i gattusiani, «lavata di capo»)… il punto è che si stanno dimostrando impermeabili.

Non erano scarsi dopo Napoli, non sono divenuti campioni dopo la gara interna con una Roma che non sta certo messa meglio di noi. Allora cos’è? Perché questi cali, per cui andare sotto di 2-0 ieri, come giustamente ha dichiarato Gattuso, sarebbe stato addirittura giusto? Può essere che mezza vittoria strappata al gong dia così tanta sicurezza? Ci si può adagiare fino a questo punto perché un campione, lui sì, s’inventa una palla semplice eppure difficile come l’assist a Patrick qualche secondo prima del triplice fischio?

Mi spiace, non riesco a dare colpe a Gattuso per una mentalità del genere, se non altro perché anche i suoi più ostinati detrattori debbono loro malgrado ammettere che, se c’è una cosa che manca al nostro attuale allenatore, ebbene, non è certo l’indurre a qualsivoglia calo di tensione, il prendere sottogamba anche la partita sulla carta meno ostica. Il passeggiare di Suso sul palo preso nel primo tempo da un incredibile Barella a chi o cosa è attribuibile? Non mi si venga a dire che quello non è il suo ruolo, che Suso non deve marcare o stupidaggini simili: un conto è che su quel pallone non ci arrivi, che l’avversario ti sfugga comunque… almeno provarci, però, beh, quello ti tocca, stop.

Quanto a noi che tifiamo, si sta passando da un atteggiamento al suo esatto opposto nel giro di pochi tweet o secondi reali: da un lato c’è chi minimizza ogni cosa, optando per il solito, infruttuoso «benaltrismo» («macché, il problema è ben altro, mica ‘ste stupidaggini!»); dall’altro si registra l’ingigantimento della qualsiasi, ci manca solo che la ben modesta prova di Hakan sia dovuta agli scarpini giallo Uni Posca. Se Kessié spesso e volentieri non sa cosa fare con quel benedetto oggetto sferico ricoperto di cuoio, insomma, vogliamo ammettere che, malgrado sia un gran faticatore e che probabilmente senza di lui saremmo nella melma, cioè, lo si può dire che almeno un po’ un problema lo è? Eh ma non tocca a Franck impostare, lo deve fare Biglia, ci deve pensare Romagnoli, deve “creare” (sic) Suso et cetera. Ho capito, ma se si ritrova la palla tra i piedi ‘sto ragazzo ci dovrà pur fare qualcosa o no? Anche perché di palloni ne recupera non pochi, e non sempre lo smistatore di turno si trova in zona. Che si fa allora? Speriamo in un altro assist fortuito tipo quello culminato col gol di Higuain? Un rimpallo non casuale, certo, dato che l’ivoriano va in pressione sul difensore com’è giusto che sia, e gli va dato merito, però mica per mettere Gonzalo davanti alla porta dobbiamo aspettare un servizio della Gialappa’s.

Responsabilizziamoli ‘sti ragazzi, in alcuni casi anche stroncandoli (sportivamente), velatamente sfidandoli, dicendo loro che non sono all’altezza, se del caso. Al coro dei «vota Andonio, vota Andonio», per chiudere, dico: siete sicuri, ma proprio sicuri sicuri, che Leonardo e/o la società nuova non l’abbiano avvicinato nei mesi scorsi? E se Conte avesse detto no a «questo» Milan, a questa rosa, a fronte del fatto che qualcuno gli abbia fatto chiaramente sapere che per un anno si sarebbe andati avanti grossomodo con quelli che c’erano già, poi si vedrà? Pensate sia così assurdo credere che proprio Leonardo volesse l’ex-Chelsea e che, solo dopo aver capito che per il momento non fosse possibile, Elliott abbia ripiegato su Gattuso?

Molti faranno notare che Elliott diede fiducia a Gattuso già dal primo suo comunicato. Ma ragazzi, pensate davvero che Elliott non lavori al Milan da un anno? Anche voi credete nella favola del Fondo che, preso atto dei 32 milioni mancanti, agisce in fretta e furia, quasi colto di sorpresa, e in due settimane imposta un’intera stagione, ricorso al TAS incluso? Suvvia, anche all’ingenuità c’è un limite. Siccome le condizioni sono queste e temo di avere capito quali siano le intenzioni di proprietà e dirigenza da un po’, a maggior ragione mi sembra opportuno mettere in guardia da questo tormentone, dissuadendo, per quanto possibile, dallo scaricare ogni singola colpa su Gattuso. In tutti gli ambienti l’allenatore è l’elemento più vulnerabile, fa parte del gioco, ci mancherebbe. Nel Milan che immagino io e che soprattutto vorrei, non è nemmeno contemplata l’ipotesi di un ambiente in cui s’inneggia all’esonero ogni due per tre, come fossimo una provinciale qualunque. Specie quando le attenuanti ci sono eccome, nonostante là fuori ci s’impegni a distoglierci da tutto ciò.

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Uno parte dal presupposto che grossomodo certe dinamiche oramai si conoscano, applicate a svariati ambiti, il calcio nemmeno tra i primi di questi. La faccio breve: state leggendo in questi giorni cosa si sta scrivendo preventivamente del Milan di Rino Gattuso? Non siamo in tribunale, perciò a voi l’onere della prova. Nulla di particolarmente grave o addirittura ingiurioso, giusto lo scricchiolio lieve ma incessante di una macchina che lavora, gli ingranaggi che girano.

Le facce di Gattuso dai primi di luglio fino a qualche settimana fa mica ce le dimentichiamo, per niente; la prima conferenza stampa del 9 luglio, poi, tre quarti d’ora di manifesto surrealista con un fantasma (Mirabelli) ed uno che aveva la faccia di chi per la prima volta vede i fantasmi (Gattuso). Dichiarazioni d’ordinanza, siamo a dieta, vediamo, cercheremo di capire, lo so, non lo so etc. Ma quella conferenza, in fondo, la si poteva pure guardare senza audio: bastavano i volti, in primis quella del mister, appunto. Tutto quello che c’era da dire ma che non poteva essere detto passava da lì, dal suo sguardo a tratti perso nel vuoto, le sue espressioni, l’aria cupa, il solito silenzio a fare da sfondo, solo che questa volta divenne funereo.

Ora stiamo meglio, è evidente, lo spartito è cambiato; e non saremo certo noi ad inoltrarci in dissertazioni sul futuro di questo o quello, men che meno societario, ché in ballo ci sono troppe cose, tali per cui non se ne esce dicendo «oh, ma questi sono quelli che hanno fatto fallire l’Argentina, oh!» (sic). Non è mistero, tuttavia, che da quando Mirabelli e il Milan hanno preso strade diverse, Rino ha cominciato a sperimentare qualcosa di molto simile al vuoto sotto i piedi. Vi sono teorie, d’altronde questa è l’epoca delle teorie, alcune plausibili, altre incredibili, altre ancora indicibili; ma a noi non interessano di nessun tipo, non perché, sotto sotto, non ci piaccia farci sfiorare da certe cose, ché in fondo fanno parte del «pacchetto intrattenimento». No, è che in certi casi bisogna avere un po’ di buon senso e un briciolo d’amor proprio: avete una teoria stravagante? Indagate, leggete, coltivatela… ma non spiattellatela ai quattro venti dei social, ché ve l’ammazzano nella culla, e magari fanno pure bene.

Le pressioni, però, quelle sono evidenti: a qualcuno l’idea che Gattuso riesca nell’impresa non dà pace. Non so se costoro abbiano in uggia il Milan o proprio non sopportano l’idea che questo incazzoso gallaratese di adozione alla fine la spunti. Ma non vedo il senso, o forse lo vedo ma non lo condivido, nell’insistere con questo banco di prova forzato. Cosa accada dietro le quinte non lo sappiamo, però intanto Elliott citò Gattuso già nel primo comunicato, ha insistito con lui in relazione alla campagna abbonamenti, e se anche tutto ciò rappresentasse una forma, bene, evviva, basta con la trasparenza, che al massimo è pornografia.

C’è già chi chiede la sua testa qualora tra Napoli e Roma non arrivassero non dico 2 ma addirittura 4 punti. Non scherziamo, su. Di punti alle prossime due giornate potremmo pure farne 6, ma senza condizioni, senza messaggi sibillini da parte di chi col mondo Milan non c’entra niente. A questo punto vi starete chiedendo: ma se non c’entrano nulla a noi cosa importa? Ecco appunto, nulla. Infatti è a voi che ci leggete che ci rivolgiamo, invitandovi, nel nostro piccolo, ad una cosa ed una soltanto: non cascateci. Per quello che vale, lasciate perdere gli avvelenatori di pozzi.

Qui hanno paura che, dopo aver fatto cilecca l’anno scorso, il Milan rischi davvero di risollevarsi, di tornare ad essere il Milan, dopo che l’anello è stato distrutto, Sauron sconfitto ed il re (Paolo) è tornato. Chiedo preventivamente venia se quanto sto per scrivere possa suonare vagamente paternalista, dato che non è mia intenzione, ve l’assicuro. Ma non crediate che i giocatori, che sono per lo più dei ventenni ricchi e fortunati, vivano in un’altra dimensione; non oggi, non in questa nostra epoca, per certi versi becera, per altri meravigliosa. Vi leggono, s’informano, sanno quello che gli accade attorno. Alcuni se ne sbattono, può darsi, altri però magari non hanno il pelo sullo stomaco e quando apprendono certe cose si fanno due conti e chissà quali pensieri si affacciano alle loro menti.

Prendete il possibile innesto di Musacchio al posto di Caldara: ma davvero con nemmeno un mese di preparazione alle spalle dovremmo rischiare di bruciare anzitempo un ventiquattrenne per cui fino all’altro ieri la difesa a quattro era praticamente un personaggio omerico? Contro Napoli e Roma? Così, pronti via? Ok, la conosciamo la storia che ce l’hanno venduto quanto un Bonucci, senonché i conti e le cifre non dicono tutto il resto (fermo restando che l’operazione Caldara è inconcepibile slegata da quella per Higuain, ma va bene). Abbiamo davanti una stagione e già ci dividiamo su scelte che francamente sono quasi scontate, figurarsi quando alle nostre orecchie giungeranno quelle più rischiose, davvero impopolari, specie a centrocampo, dove la parola d’ordine, almeno da qui a gennaio, sarà «creatività».

Per un anno, leggendo qualche blog e forum, mi sono chiesto: ma cosa stiamo diventando? Mi credevo che dall’altra parte di Milano e solo lì vi fossero certi personaggi, che al secondo cross a tre metri dalla traversa partono coi fischi e non ti lasciano più in pace. Qua sembra quasi vi sia già chi ha la bava alla bocca al solo pensiero di poter urlare: «VE L’AVEVO DETTO!». Sì, ce l’avevi detto… dunque? Ché non lo sappiamo a quali rischi andiamo incontro consegnando un progetto come il nostro ad un tecnico oggettivamente poco esperto, quantunque uomo di calcio a 360 gradi? O vi pare che a noi tutti siano bastati tre mesi un attimo più ordinati per dire di avere in casa il nuovo Guardiola?

Il punto è un altro: chissenefrega. Figurarsi, con tutti i demeriti e le uscite fuori luogo dopo il suo esonero, non m’interessava manco dell’affaire Montella. Capisco il desiderio di chiacchierare, animarsi su queste cose, ma un piccola iniezioncina di realismo basta e avanza per curare il male; ed il realismo dice che non solo si comincia con Gattuso seduto sulla poltrona che scotta, ma soprattutto che ogni milanista dovrebbe sperare in un esito quanto più positivo di tale esperimento, pena dover rinviare di altri 12 mesi ciò che andava cominciato non l’anno scorso, ma addirittura cinque anni fa.

Lungi da me anche solo tentare d’impedirvi il divertimento (sarebbe possibile? e a che pro, peraltro?). Discutiamo, se del caso anche alterandoci, ché negli affari di cuore s’ha da essere compresivi e un po’ elastici. Scriviamo, perculiamo facendo fondo ad ogni minuscola goccia di sarcasmo che abbiamo in corpo. Per carità, fate come volete. Ma non state lì col telefono in mano, pagina aperta su un social a caso, hashtag d’ordinanza e manine pronte a digitare. Tenetevelo quel commento. Sì proprio quello; resistete alla tentazione, anche quando assisterete a una cappellata brutta di qualche nostro giocatore, ad una mossa scellerata del nostro allenatore, al risultato di una scelta sbagliata presa da Leonardo. Resistete, vi dico, resistete. Anzi, resistiamo. Fino a gennaio almeno, il miglior tweet sarà quello che non abbiamo scritto.

Si riparte, sotto il segno del «diciannove» e «siamo a posto così»

Diciannove. Il numero del capitano della scorsa stagione, certo, ma soprattutto quello dei giocatori transitati dal Milan in un anno. Undici lo scorso anno, otto questo. Diciannove. Giustamente ci si domanda cosa vorrà dire, a prescindere dalle ovvietà, per esempio che il Milan dell’ultima gestione Berlusconi-Galliani andava rifondato, per usare un eufemismo. Di quel progetto là portiamo ancora i segni, beffardamente evidenziati proprio venerdì dall’elegante uscita di scena di tale Marchisio Claudio, un professionista che, con ancora due anni di contratto che lo legavano alla società più aziendalista d’Italia, ha preferito defilarsi e trovare fortuna altrove per quest’ultima parte della propria carriera. Che Dio l’aiuti. Da noi c’è chi altrettanto buon senso non ha avuto, nemmeno in considerazione del fatto che oggi non è nelle condizioni di dare al Milan ciò che Marchisio avrebbe forse potuto ancora dare alla sua Juve (o forse no). Diciannove, dicevamo: come l’anno in cui ci apprestiamo a entrare, nel corso quale inevitabilmente ci aspettiamo segnali forti, magari non decisivi, ma potenti.

Mesi addietro, come un disco rotto, andavo ripetendo ad amici e conoscenti che del mercato in entrata mi sarebbe interessato poco; intendiamoci, non perché non vi fosse bisogno di nuovi innesti. Il mio ragionamento verte(va) sul fatto che il Milan di oggi sta ancora scontando certe colpe del passato, e lo fa mediante la presenza in rosa di quei giocatori che, sfortunati quanto si vuole, Milanello avrebbero dovuto lasciarlo tempo addietro. So di toccare un nervo scoperto, in un senso o nell’altro, ma non posso farci alcunché se nel calcio non conta solo il calcio. Fino all’ultimo Leonardo ha provato ad accomodare soluzioni che soddisfacessero tutti, sebbene l’impressione è che in uscita a venirne fuori un po’ più ammaccata sia stata la società anziché i singoli giocatori.

Kalinic Nikola, vice-campione del Mondo senza medaglia e super campione d’Europa con medaglia annessa, se ne va ad un prezzo che a quanto pare, dicono i contabili, non ci aiuta granché ma tutto sommato nemmeno ci danneggia troppo. Bonucci Leonardo, il presente assente della scorsa stagione, emblema di una proprietà dalla consistenza analoga, andava accompagnato alla porta in ogni modo lecito, ed in fondo lo scambio alla pari con Caldara ci sta soprattutto in considerazione del fatto che si è trattato della chiave di volta per sbloccare Higuain. Gonzalo, GH9. È lui la vera bomba del nostro mercato, la seconda della serie A dopo colui per cui è stato allestito un Truman Show di dubbio gusto il giorno stesso che ha messo piede nella Penisola. Sulle spalle del centravanti argentino e del nostro splendido giovane comasco, Patrizio, l’intero peso di un attacco che come minimo deve fare meglio dell’anno scorso, obiettivo alla portata (ché se non lo fosse, davvero, meglio non pensarci). Nota a margine per Manuel Locatelli e André Silva. Per quanto riguarda il classe ’98, figlio nostro, specie alla luce di come si sono conclusi i lavori, non sarebbe stato affatto male dargli un’ultima chance – per quanto mi riguarda meritava lui molto più di altri. Quanto al portoghese, apprezzato da alcuni, detestato da molti, mi spiace: il ragazzo i numeri ce li ha, non scherziamo; forse, come dicono, non era ancora pronto per il nostro campionato, forse, ancora più probabile, deve ancora limare certe asperità caratteriali, certamente non avrebbe accettato il ruolo di terza punta, ed il suo procuratore in tutto ciò non è stato certo dalla nostra parte (e speriamo che il 9 e il 63 non prendano nemmeno un raffreddore). Pero oh, è un altro che avrei voluto vedere messo alla prova un’altra volta. Entrambi sacrificati sull’altare dei conti, ineludibili.

Sui vari Bakayoko, Laxalt e Castillejo, ultimi arrivati, mi sembra opportuno sospendere il giudizio. Si tratta di pedine da cui ci si può aspettare di tutto, meraviglie così come delusioni cocenti. Non dei fuoriclasse, certo, sebbene chi scrive coltivi un debole per Laxalt, e da tempi non sospetti – un mio caro amico, genoano, incassò i complimenti del sottoscritto due anni or sono, con un bel «è l’unico dei vostri che prenderei, mentre invece ci mandate sempre quelli sbagliati». Bakayoko viene da dodici mesi non esaltanti a fronte di una stagione al Monaco che lo aveva trasformato nel sogno proibito di chissà quanti (chissà, non ricordo), mentre di Castillejo si parla in termini di vice-Suso, laddove i pochi stralci visionati su YouTube paiono suggerirmi qualcosa di diverso. Ad ogni modo, il Milan la scorsa stagione, tra le altre cose, ha sofferto la penuria di rincalzi, in alcuni casi proprio la totale assenza. Sanno pure i custodi dei campetti di periferia che senza una buona panchina non si va da nessuna parte, sebbene Gattuso dia l’impressione di essere più Sarriano che Allegriano, per cui se si fissa con quei 13/14 vai a capire che ne sarà degli altri. Toh, guarda caso quelli siamo, non da un punto di vista strettamente numerico ma ci siamo capiti.

Siamo a quel punto del discorso che vorremmo liquidare in fretta e furia, mentre invece rimestare in certe cose può essere a suo modo terapeutico. Lo ammetto: rientro tra quelli che in Milinkovic-Savic ci ha creduto forte. Non sperato, sia chiaro… ero proprio persuaso che, in un modo o nell’altro, sarebbe stato nostro. L’incognita, da par mio, non era il FPF, la (non)potenza di Elliott o che so io. No. L’incognita era Lotito Claudio, che non a caso si è dimostrato ancora una volta terribile controparte in una qualunque trattativa, figurarsi in relazione al suo pezzo più pregiato. Ora, se di trattativa si è trattato, sì o no, non saprei: non conosco personalmente nessuno che avrebbe modo di confermare o smentire. A occhio mi pare che qualcosa di più di una semplice «consultazione» vi sia stata. Leonardo smentisce categoricamente, e a noi non rimane che prenderlo in parola. Se avessi però voluto vaneggiare, così, giusto perché non saprei come allungare il brodo, avrei scritto che per Elliott presentarsi con una trattativa così lunga ed estenuante uscendone a mani vuote avrebbe rappresentato un biglietto da visita non in linea coi loro standard, e siccome sapevano che non sarebbe stato affatto semplice, tra paletti e venditore, meglio negare sin dall’inizio, «nenti sacciu e nenti ricu», così da un lato ti fai mediaticamente rispettoso agli occhi della UEFA (che comunque sono convinto sia stata consultata ogni due per tre), dall’altro non getti discredito su una realtà consolidata, sì, ma che qui da noi si conosce poco tra i profani, e che nel calcio, in fin dei conti, specie nel nostro, è neofita. Sono convinto anch’io che 120 milioni fossero troppi, sì, ma è stato bello, anzi stupendo sperarci, e secondo me Lotito ha fatto bene a resistere: non lo perderà di certo a poco, e chi sa che non abbia già avuto specifiche rassicurazioni in tal senso.

Nondimeno, sia chiaro, quali che siano le intenzioni nel medio-lungo periodo, Elliott non è un giocatore come tutti gli altri: la sua sola presenza rischia di mettere in discussione certi equilibri consolidati, dare una scossa a un sistema che, campanilismi a parte, ne ha estremo bisogno. Finora, ed è ancora presto, lo ha fatto con discrezione, oserei dire sottobanco, riprendendo dai capelli una squadra che fra un mese il giovedì sera si sarebbe limitato a preparare l’incontro della domenica sulla lavagna tattica. E guardate che non è poco, essere stati riammessi all’Europa League intendo, sul cui peso potremmo pure discutere fino al prossimo Capodanno cinese, ma che rimane un appuntamento al quale un Milan che aspira a cose grandi non può né deve mancare. Certo, il nostro «grande» per ora ha dimensioni ridotte, quelle di una competizione liquidata da molti con l’appellativo di «coppetta». La «coppetta» in questione, tuttavia, è l’anticamera per quella che è la nostra vera abitazione, perché il Milan sarà sempre in terra straniera solo finché giocherà in casa, sul suolo patrio, dove a regnare sono storicamente altri (gli ultimi sette anni sono un’anomalia e una conferma al contempo).

È evidente che il progetto sia stato costruito attorno a lui, Gennarino Gattuso da Gallarate, e non perché sui manifesti della campagna abbonamenti campeggi il suo faccione serioso. Gli sono stati consegnati alcuni tra i giocatori che aveva già chiesto a Mirabelli, e che non a caso erano già sotto la lente (vedi Castellejo). Capisco le ragioni di chi su quella sedia ci avrebbe visto il reduce inglese, Antonio Conte, ma negare che Gattuso meritasse questa chance non si rivela discutibile solo da un punto di vista, banalmente, umano. Per natura si è tutti precari, mica ‘sta cosa l’hanno inventata gli economisti (almeno questa), perciò se a fronte di una preparazione seguita personalmente ed un gruppo seguito da principio non porterà risultati, ebbene, chi di dovere tirerà le somme. E questo è il contraltare di quanto rilevato sopra circa il «costruirgli un progetto attorno». Sarà dura, è evidente, per via del contesto, delle premesse, dei sei terzini e quasi nessuna mezz’ala. Confidiamo che le immancabili difficoltà ne enfatizzino l’indole, quella di chi, nelle ristrettezze, si esalta e aguzza l’ingegno. Che coraggio però, va detto, nel non dotarlo di questa benedetta mezz’ala dai piedi buoni, merce rara da oramai troppo tempo, e puntare su due esterni come l’uruguagio e lo spagnolo, che sulla carta non corrispondono all’identikit del nostro ricercato, uno che, tra le altre cose, la mette dentro di tanto in tanto, a doppia cifra sarebbe magnifico.

Alcuni, a tal proposito, temono un Montella-bis, il che, entro una certa misura, rappresenta un rischio calcolato, nel senso appunto di aver tenuto in considerazione che una deriva del genere sia possibile ancorché (si spera) poco probabile. Abbiamo costruito e demolito già due volte in un anno, farlo una terza comporterebbe dei rischi notevoli, lato tecnico, di gestione, umano e mettiamoci pure finanziario. Lo sappiamo noi, lo sanno coloro che adesso prendono le decisioni. Ma, come si dice dalle mie parti, questa è la fidanzata, perciò ci si rimbocchi le maniche e sotto col lavoro. Ecco, in vista di questo nuovo corso, l’ennesimo, vorrei si ripartisse da qui, dal lavoro. Gattuso è certamente un gran lavoratore, Leonardo idem, gli emissari di Elliott immagino lo stesso. Roma non è stata costruita in un giorno e, come diceva Chesterton, non era amata dai romani perché era grande, bensì fu grande perché amata dai romani.

Non avvenga per noi, dunque, ciò che dice il protagonista di Boy Meets Girl di Leos Carax: «non mi piace realizzare i miei sogni, preferisco sognarli». Il tifoso milanista negli ultimi anni è sembrato questo qui, uno la cui squadra ha tanti sogni ma che in fondo preferisce restino tali, o perché considerati irraggiungibili o perché perché perché. Siamo stati abituati bene, tanto bene che la mancata ciliegina sulla torta di un mercato che sanno per primi loro, Maldini e Leonardo, essere stato estenuante ma per certi versi incompleto, sembra essersi subito tramutata in una scusa per mandare al diavolo Sansone e tutti i filistei. Nossignore. Al diavolo ci andranno gli altri, anzi, verrà lui da loro. Il calciomercato è puro intrattenimento, quantunque da tale attività di sollazzo dipenda almeno in parte l’andamento di una stagione.

Su Twitter ho visto gente incazzarsi, molti in maniera scomposta, altri sognare, altri ancora soffrire. Ebbene, tutte queste cose qui ci restituiscono un tifoso che ancora è vivo, a cui gliene frega qualcosa. Non me la sento di scagliarmi così veementemente contro i cosiddetti insiders o chi per loro; che abbiano fomentato molti utenti con dolo o meno è affare della loro coscienza. In alcuni casi hanno però intrattenuto, alimentato il fuoco di una tifoseria che mai come in questi anni stiamo scoprendo così eterogenea, a tal punto da essere frammentata, smarrita se vogliamo. Ma a differenza di altri, non ritengo sia un male: non credo vi sia un modo e uno soltanto per tenere alla propria squadra, sebbene amore e convenienza siano concetti universali, perciò passino le fasi alterne, purché non sia ammesso il letargo, che è la morte della passione. Senza contare che ieri si è chiusa questa sessione di mercato, particolarissima poiché condotta praticamente in un mese e a fronte di una situazione piuttosto incerta. Già a gennaio, sperando di aver capito cosa ne pensa davvero la UEFA di questa nuova proprietà, magari ottenendo ‘sto benedetto Voluntary Agreement che, francamente, ci toglierebbe buona parte delle preoccupazioni; ecco, magari a queste condizioni si avrà modo di lavorare meglio. Malgrado tutto, è vero, ancora per un po’ l’extra-calcio dovrà necessariamente essere sulla bocca di tanti, non si scappa.

Quale che siano le somme di questa sessione di calciomercato, ad ogni buon conto, sappiamo già che basterà uscire dalla metro e trovarsi davanti quelle mastodontiche colonne, entrare dalla solita porta accompagnati dall’odore di salamelle arrostite, salire per le scale e poi trovarsi davanti quell’immagine lì, sempre la stessa eppure ogni volta diversa. Poi inizia la partita, la palla si muove, ventidue persone la rincorrono e tutto ciò che viene dopo. Così fino a maggio. Maggio, quando potremo finalmente affermare in maniera meno equivocabile possibile ciò che di buono e/o di cattivo è stato fatto.